Tuesday, October 28, 2008

Catari e Albigesi

Catarismo

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la croce catara
la croce catara

Il catarismo (dal greco καθαροί [katharòi] = «puri») costituì un movimento ereticale diffuso in Europa tra il XII e il XIV secolo.

Indice

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Origini [modifica]

Il termine deriva dal nome con cui venivano designate le persone coinvolte nel sostegno culturale o religioso di tale movimento, i càtari, detti anche albigesi (dal nome della cittadina francese di Albi).

Le dottrine càtare vennero condannate come eretiche dalla Chiesa cattolica.
I càtari non furono duramente combattuti da Bernardo di Chiaravalle come si crede genericamente, il quale creò proprio per loro i "conversi" corpo laico all'interno dei monasteri cistercensi nel quale essi potevano esprimersi nelle loro pratiche religiose. Egli guardava a loro con interesse: sebbene la loro predicazione non fosse accettabile da parte della Chiesa, il loro modo di vivere era encomiabile, fondato sull'esercizio di povertà, umiltà e carità. Era questo il fondamento della facile diffusione dell'eresia, poiché era più vicino alla povera gente di quanto non lo fossero gli altri prelati con le loro sottili discussioni teologiche.

Fu proprio per contenere l'estendersi del fenomeno càtaro che, dopo infruttuosi tentativi da parte di alcuni legati papali, Domenico di Guzmán concepì un nuovo modo di predicazione: per combattere i Càtari bisognava usare i loro stessi principii, vale a dire, oltre alla predicazione, operare in povertà, umiltà e carità. Questa nuova formula portò Domenico, dieci anni più tardi, alla fondazione dell'ordine domenicano.

Data l'inefficacia di questi interventi di tipo non violento, il papa Innocenzo III bandì contro di essi nel 1208 una vera e propria crociata, la prima indetta di cristiani contro cristiani. L'errore, fu per i catari riunirsi in chiese alla pari della chiesa di Roma. Nonostante questo, nel 1229 i Càtari dovettero istituire un quinto vescovado, dato l'aumento numerico dei fedeli. Per rimediare all'inefficacia religiosa della crociata e per debellare l'eresia catara fu appositamente creato da papa Gregorio IX il Tribunale dell'Inquisizione, che impiegò settant'anni ad estirpare il catarismo dal sud della Francia.

La dottrina dualistica degli albigesi [modifica]

I catari cacciati da Carcassonne nel 1209
I catari cacciati da Carcassonne nel 1209

I Càtari diffusero nel basso medioevo, e in particolare tra il 1150 e il 1250, un'eresia dualista. La dottrina càtara fu erroneamente assimilata al suo apparire a quella del manicheismo e dei bogomili dei Balcani: con questi ultimi tuttavia aveva molti punti in comune. Le derivazioni gnostiche, manichee[1], pauliciane e bogomile dei Càtari erano forse giunte fino in Europa all'inizio del XII secolo, tramite l'impero bizantino e i Balcani o tramite i crociati e i pellegrini che tornavano dalla Terra Santa: i fedeli Càtari erano infatti detti anche "bulgari".

Alcune similitudini con il movimento patarino (che lottò per una Chiesa di poveri ed uguali) fecero sì che i due movimenti finissero per essere confusi nell'opinione pubblica[1].

Appoggiandosi ad alcuni passi del Vangelo, in particolare quelli in cui Gesù sottolinea l'irriducibile opposizione tra il Suo regno celeste e il regno di questo mondo, i Càtari rifiutavano in toto i beni materiali e tutte le espressioni della carne. Professavano un dualismo in base al quale il re d'amore (Dio) e il re del male (Rex mundi) rivaleggiavano a pari dignità per il dominio delle anime umane; secondo i Càtari, Gesù avrebbe avuto solo in apparenza un corpo mortale (docetismo). Essi svilupparono così alcune opposizioni irriducibili, tra Spirito e Materia, tra Luce e Tenebra, tra Bene e Male, all'interno delle quali tutto il creato diventava una sorta di grande tranello di Satana (una sorta di Anti-Dio diverso dalla concezione cristiana) nel quale il Maligno irretiva lo spirito umano contro le sue inclinazioni rette, verso lo Spirito e verso il Tutto. Lo stesso Dio-creatore dell' Antico Testamento corrispondeva al Dio malvagio, a Satana.

La convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del Male comportava il rifiuto del battesimo d'acqua, dell'Eucarestia, ma anche del matrimonio, suggello dell'unione carnale, genitrice dei corpi materiali - prigione dell'anima. L'atto sessuale era infatti visto come un errore, soprattutto in quanto responsabile della procreazione, cioè della creazione di una nuova prigionia per un altro spirito. Allo stesso modo era rifiutato ogni alimento originato da un atto sessuale (carni di animali a sangue caldo, latte, uova), ad eccezione del pesce, di cui in epoca medievale non era ancora conosciuta la riproduzione sessuale. Era proibito quindi collaborare in qualsiasi modo al piano di Satana. La vittoria massima del Bene contro il Male era la morte, che liberava lo spirito dalla materia, e la perfezione per il càtaro era raggiunta quando egli si lasciava morire di fame (endura)[2].

Pur convinti della divinità di Cristo, gli albigesi sostenevano che Egli fosse apparso sulla Terra come un angelo (un "eone" emanato dal Dio e dalla Luce) di sembianze umane (di natura angelica era considerata anche Maria) e accusavano la Chiesa cattolica di essere al servizio di Satana, perché corrotta e attaccata ai beni materiali.

Credendo nella deviazione dalla vera fede della Chiesa di Roma, i Càtari crearono una propria istituzione ecclesiastica, parallela a quella ufficiale presente sul territorio.

Struttura e aspetti liturgici [modifica]

La propaganda catara ebbe una forte presa tra i ceti più umili, gli stessi che avevano fatto la forza dei patarini. Essi sfruttarono il clima di delusione seguito alla riforma gregoriana, che aveva mancato di riformare la Chiesa secondo la povertà predicata da Cristo e ritenuta tipica del cristianesimo delle origini.

Le comunità di fedeli erano divise in "credenti" (simpatizzanti, non tenuti ad applicare tutte le norme della disciplina catara), che si chiamavano «Buoni Uomini», «Buone Donne» o «Buoni Cristiani» e quelli che per l'Inquisizione erano i "perfetti", coloro cioè che praticavano la rinuncia ad ogni proprietà e vivevano unicamente di elemosina. Gli unici che potevano rivolgersi a Dio con la preghiera erano i perfetti, mentre i semplici credenti potevano sperare di divenire perfetti con un lungo cammino di iniziazione, seguito dalla comunicazione dello Spirito Santo, il consolamentum, mediante l'imposizione delle mani. Questo era uno dei pochi Sacramenti càtari, tra cui una sorta di confessione collettiva periodica.

Tra i perfetti esisteva comunque una gerarchia facente capo ai vari vescovi di ogni provincia (assistiti da coloro che venivano detti il "Figlio Maggiore" e il "Figlio Minore") e ai vari diaconi delle comunità catare.

Dal punto di vista dell'organizzazione sociale:


« La proprietà privata era rifiutata come elemento del mondo materiale. I "perfetti" non potevano avere alcuna proprietà individuale. I catari godevano di una certa influenza negli ambienti più diversi, anche in quelli più elevati. Si narra che il conte Raimondo VI di Tolosa tenesse al suo seguito alcuni catari, dissimulati tra gli altri cortigiani, perché in caso di morte improvvisa gli potessero impartire la loro benedizione. »

(Tratto dal Capitolo II "Il socialismo nelle eresie", pp. 36-43, del volume "Il Socialismo come fenomeno storico mondiale", di Igor Safarevic, presentazione di Aleksandr Isaevič Solženicyn, La Casa di Matriona, Milano 1980[1])

Spesso essi sfidavano a contraddittorio i preti cristiani, battendoli non tanto sul piano teologico quanto sul modello di vita seguito, manifestando per questo una forte presa sui ceti popolari. Agli occhi del popolo il confronto tra castità e santità di vita dei catari rispetto all'organizzazione ecclesiastica tradizionale era sempre a favore dei primi, in quanto il clero comune, oltre a non essere un esempio di santità, ispirava paura e antipatia; niente di meglio degli abusi del clero per incoraggiare l'eresia.

Crociata contro gli albigesi [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Crociata albigese.

Il catarismo si diffuse in tutto l'Occidente, con punte di densità allarmanti per la gerarchia cristana in aree come la Linguadoca, la Provenza e la Lombardia. Dopo l'elezione al soglio pontificio di Innocenzo III, nel 1198, che si prefisse di estirpare l'eresia. Intervenne in Italia, ma sopratutto in Linguadoca, inviando, nel 1203, dei legati pontifici, con il compito di combattere l'eresia.
Quando Innocenzo III, comprese che solo con la predicazione non avrebbe risolto il problema, nel 1208, il papa, per estirpare il movimento càtaro dai territori della Linguadoca e della Provenza, indisse la crociata contro gli albigesi, che assunse la forma di un vero e proprio genocidio e terminò nel 1229 con la sconfitta dei catari, con strascichi che si protrassero fino al 1244 con la caduta della roccaforte catara di Montsegur. Numerose furono le stragi e le persecuzioni avvenute nel sud della Francia, come la strage di Béziers dove furono massacrate probabilmente 20.000 persone, cattolici e catari, uomini, donne, bambini, anziani. Secondo il cronista cistercense Cesario di Heisterbach, quando al legato pontificio (Arnaud Amaury, abate di Cîteaux), si chiese come distinguere chi delle persone rifugiate in una chiesa dovesse essere riconosciuto eretico e quindi ucciso, ordinò di uccidere tutti indiscriminatamente, dicendo: Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius ovvero "Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi" [3].

I luoghi dei Catari [modifica]

Verso la fine del XI secolo si diffusero nelle regioni della Linguadoca-Rossiglione, dove insediarono delle chiese, ad Albi, Carcassonne e Tolosa; quest'ultima si fece promotrice anche di un importante Concilio cataro, a Saint-Félix de Lauragais. Principali castelli catari nel Linguadoca-Rossiglione erano Montsegur, Puivert, Puilaurens, Queribus, Peyrepertuse e Lastours. È bene precisare che i ruderi dei castelli a noi pervenuti non appartengono alle originali costruzioni catare, ma sono ricostruzioni, ampiamente rimaneggiate, effettuate dalla Corona di Francia dopo il 1250 per difendere la zona dei Pirenei da possibili sconfinamenti dei regni spagnoli limitrofi.

Alla fine del XII secolo la Francia non era la compagine statale che è attualmente: numerose regioni appartenevano all'Inghilterra, la Bretagna era un reame autonomo, la Provenza faceva parte del Sacro Romano Impero Germanico. Parte delle regioni nelle quali era diffusa la lingua occitana costituiva un insieme di feudi autonomi che per alcuni decenni (fra il XII e il XIII secolo) integrarono, insieme ai territori d'Aragona, uno stato economicamente prospero e forte, guidato dal re Pietro II d'Aragona e appoggiato dalla Santa Sede nella persona di papa Innocenzo III.

La prematura scomparsa di Pietro, caduto in battaglia nel 1213 alle porte di Tolosa dove si era schierato per difendere la Linguadoca assediata dai crociati, segnò l'apice della parabola del catarismo.

Il catarismo era diffuso anche a Firenze e nell'Italia settentrionale, dove nel '200, oltre a Treviso, aveva i suoi centri principali in Lombardia e in particolare a Concorezzo, Desenzano sul Garda e Bagnolo San Vito (Mantova), ma anche a Viterbo, a Rimini ed Orvieto. Già nel 1028, il vescovo di Milano catturò un'intera comunità eretica dualistica arroccatasi nelle Langhe, a Monforte d'Alba.
Nel 1198, Innocenzo III dette istruzioni al suo legato in Lombardia di far prestare giuramento agli ufficiali municipali che non avrebbero ammesso eretici alle cariche pubbliche.
A Orvieto, nel 1199, il papa inviò come podestà un giovane nobile romano, Pietro Parenzo, gradito ai cattolici; ma la comunità catara non lo accettò e lo aggredì, lo trascinò fuori dalle mura e lo picchiò a morte.
A Viterbo, gli eretici, oltre che essere esclusi dalle cariche pubbliche non potevano fare testamento nè ereditare e quindi i beni temporali degli eretici dovevano passare nelle mani della chiesa. Queste istruzioni però vennero disattese sino a quando Innocenzo III, nel 1270, si recò personalmente in città: i maggiorenti catari furono costretti ad abbandonare la città, i loro beni furono confiscati e le loro case demolite.
La comunità catara lombarda, assediata a Sirmione, venne liquidata con un rogo collettivo nel 1279 all'arena di Verona.[senza fonte]

Il catarismo era diffuso anche nei Balcani specialmente in Bosnia e Dalmazia. Il bano Kulin, vassallo del re d'Ungheria, Emerico, si convertì al catarismo, verso la fine del XII secolo. Nel 1200 papa Innocenzo III fece pressione su Emerico affinché ordinasse a Kulin di perseguitare gli eretici ed in caso di rifiuto prendesse possesso dei domini di Kulin. Benché Kulin si fosse arreso, nel 1202, ad una missione papale, il catarismo, come avrebbe in seguito riconosciuto papa Onorio III, il catarismo non venne estirpato tra gli slavi del sud.

Poesia e catarismo [modifica]

Spesso, grossolanamente, viene associato al movimento càtaro l'amor cortese provenzale, su premesse errate.

Queste due realtà, invero, hanno trovato ragion d'esistere nello stesso periodo storico in due regioni contigue, ma queste le loro uniche relazioni, infatti

La Chiesa condannò come eresia il catarismo, come fece altre volte con le correnti di stampo dualista, e la crociata indetta contro questa vide come campi di battaglia le terre languedociane, mentre la cultura cortese proseguì il suo cammino anche dopo il 1209, anno della capitolazione delle càtare Béziers e Carcassonne da parte di Simone IV di Montfort, nonché dopo il 1277, quando furono catturati gli ultimi càtari, rifugiati nel Nord Italia.

Se per la poesia trobadorica il Tema, l'argomento principale, è sempre l'amore nelle sue diverse fasi (e soprattutto il "desiderio", anche carnale), per la filosofia dualistica dei càtari il corpo è solo un'espressione del male, e la via per vincere il male rimane il dispregio di ogni corporalità: nel catarismo è infatti predicata l'astinenza sessuale, e il matrimonio rimane in secondo piano rispetto al celibato.

Note [modifica]

  1. ^ a b Franco Cardini e Marina Montesano, Storia medievale, Firenze, Le Monnier Università, 2006. ISBN 8800204740 pag. 265
  2. ^ Cardini-Montesano, cit.
  3. ^ La storicità di questo fatto è stata contestata, vedi in proposito la risposta data in un articolo di Francesco Zambon Il vero massacro dei Catari

Bibliografia [modifica]

Testi

  • La cena segreta. Trattati e rituali catari, a cura di Francesco Zambon, Milano: Adelphi, 1997.

Storia

  • Aurell, Martin: Les Cathares devant l'histoire, Cahors: Hydre Éditions, 2005, ISBN 2-913703-57-7.
  • Berlioz, Jacques: Tuez-les tous Dieu reconnaîtra les siens: le massacre de Bé­ziers et la croisade des Albigeois vus par Césaire de Heisterbach, Toulouse: 1994.
  • Bordes, Richard: Cathares et Vaudois en Périgord, Quercy et Agenais, Cahors: Hydre Éditions, 2005, ISBN 2-913703-30-5.
  • Brenon, Anne: Les Archipels Cathares.
  • Brenon, Anne: Petit Précis de Catharisme, Loubatières, 1996.
  • Brenon, Anne: Les Cathares. Pauvres du Christ ou apôtres de satan?, Paris: Gallimard.
  • Brenon, Anne: Le vrai visage du Catharisme, Loubtières, 1998.
  • Brenon, Anne: Les femmes cathares, Perrin, 1992.
  • Caratini, Roger: Les cathares. De la gloire à la tragédie (1209-1244), Paris: Archipel, 2005, ISBN 2-84187-589-X.
  • Duvernoy, Jean: Le Catharisme. La religion, 1976.
  • Duvernoy, Jean: Le Catharisme. L'histoire, 1979.
  • Duvernoy, Jean: Cathares, Vaudois et Béguins. Dissidents du pays d'Oc, Editions Privat, 1994.
  • Ladurie, Emmanuel LeRoy: Montaillou - Ein Dorf vor dem Inquisitor 1294 bis 1324, Berlin [o.J.] ISBN 3-548-26571-5
  • Lebédel, Claude (fotografie di Catherine Bibollet): Comprendre la tragédie des cathares, Rennes, Editions Ouest-France, 2007, ISBN 978-2-7373-4106-9
  • Nelli, René: La vie quotidienne des Cathares du Languedoc au XIII siècle, Paris: Hachette, 1969.
  • Rahn, Otto: Der Kreuzzug gegen den Gral. Die Geschichte der Albigenser, Arun: 2002, ISBN 3-927940-71-2
  • Roquebert, Michel: L'épopée cathare. Les Cathares après la chute de Montségur, Perrin.
  • Bamp Robert : "Un Cataro del III Millennio" Icap (Cuneo)
  • E. F. Jacob, Innocenzo III, in «Storia del mondo medievale», vol. V, 1999, pp. 5-53
  • A. S. Tuberville, Le eresie e l'Inquisizione nel medioevo: 1000-1305 ca., in «Storia del mondo medievale», vol. V, 1999, pp. 568-598

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